La valle di Átopon

La valle di Átopon

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Mentre l’uomo continuava a suonare,
gli occhi di Ughino rivolti verso oriente si illuminarono:
all’orizzonte stava salendo un
meraviglioso cocchio d’oro trainato da
quattro cavalli bianchi che rifletteva
la sua luce ovunque nella valle.
La quadriga era guidata
da un giovane in piedi
che teneva ben salde le briglia dei destrieri
e dietro il cui capo splendeva
il sole dell’alba!
Il bambino rimase immobile estasiato
da quell’immagine e dai suoni
che venivano diffusi tutto intorno a lui.

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Sinossi

atoponUghino, un bambino molto povero che vive in un paesino sulle colline umbre nei pressi di Orvieto, farebbe di tutto pur di veder guarire la sua mamma malata, ma quella malattia “non si cura con le medicine”, come dicono le donne del posto e il bambino è sempre più sconfortato. Nella sua costante ricerca di soluzione, uno strano incontro gli suggerisce un’indicazione di percorso; così Ughino chiede ai suoi due amici più grandi, Markus e Angela, di accompagnarlo in una magica avventura che li porterà a visitare una fantastica valle abitata da incredibili personaggi. Sarà poi la stessa regina Arborea, l’androgina divina, a suggerire ai ragazzi la soluzione, il cui cammino transiterà attraverso l’opera di un moderno sciamano.

Nel racconto, le immagini della mitologia più antica prendono forma in un ambiente che rappresenta il riflesso del mondo reale e che si rivela attraverso un linguaggio simbolico universale. Ciascun essere vivente ha in Átopon una sua personale appendice (il bozzolo) che viene sottoposta all’influenza dei miti, forme preesistenti dei modelli di comportamento dell’animo umano.

La storia si sviluppa come una favola, un’avventura immaginaria che narra gli eventi dei tre ragazzi in un mondo che la loro fantasia riesce a cogliere più reale di quanto non lo sia agli appannati occhi dell’adulto.

Nota al testo


L’esigenza di scrivere questo breve romanzo è sorta dopo la lettura di numerosi testi fra cui, ultimo in ordine di tempo, “Il codice innato” di Michael Conforti, un analista junghiano di Brattleboro, nel Vermont. Nel suo libro il dottor Conforti delinea una teoria del campo archetipico secondo la quale gli stessi agiscono sugli individui a similitudine dei campi fisici sulla natura. “I campi possono essere considerati” – scrive l’analista americano – “come il mezzo tramite il quale gli archetipi si incarnano nella materia”. (1)

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Michael Conforti e Fabio Marzocca in occasione dell’Assisi Conference 2007

Da qui, l’idea della Valle: una rappresentazione simbolica di un luogo senza luogo (un Átopon), dimora della totalità della psiche, laddove le immagini primordiali sottopongono gli stadi più profondi dell’essere di ciascun individuo all’effetto dei loro campi d’influenza.

In Átopon ogni archetipo ha il suo guardiano, il custode del campo, nella figura di un diverso mito. I miti sono, in primo luogo, manifestazioni pubbliche che rivelano l’essenza dell’anima(2) e per questo raccontano sempre delle origini, o per lo meno, di quel che è originario.(3) Il mito, quale che sia la sua natura, è sempre un “precedente” e un “esempio”, non soltanto rispetto alle azioni dell’uomo, ma anche rispetto alla propria condizione(4) e risalgono a un narratore primitivo e ai suoi sogni, a uomini mossi dallo stimolo appassionato delle loro fantasie. Questi uomini non si differenziavano gran che da coloro che dopo molte generazioni sono stati chiamati poeti o filosofi.(5)

Si è scelto infine il bozzolo come immagine rappresentativa del “soffio vitale” di ciascun essere umano in quanto nella sua forma stessa esso esprime la concezione di un involucro disposto a contenere un prezioso tesoro a cui trasmettere la necessaria linfa nutritiva: l’embrione della vita.

La Valle, perciò, è il non-luogo in cui vive la parte sommersa di ciascuno di noi e verso la quale non esiste una comunicazione diretta nel senso attuale del termine, ma è presente la possibilità di una meta-comunicazione attraverso i sogni, gli istinti e le percezioni. Nel migliore dei casi si continua a sognare il mito, dandogli una forma moderna. E quando il colloquio non è chiaro oppure sembra essere addirittura precluso ogni contatto con Átopon, interviene la regina Arborea con i suoi “lucenti”, personaggi che hanno il compito di evocare i dèmoni, le cieche forze istintuali, per domarli e metterli al servizio del bene.(6)

In questo scenario si svolge la storia di Paola, una fragile creatura emarginata dalla popolazione del paesino a causa delle sue stesse paure, vittima di una dolorosa giovinezza poggiata sull’ancor più penosa consapevolezza del suo essere orfana, probabilmente abbandonata dai suoi stessi genitori. Solo attraverso l’alcool la povera donna riesce a sedare, seppur per brevi istanti, i mostri della sua mente che la portano a dialogare soltanto con le lapidi del cimitero, in cerca di un’integrazione che non riesce a ottenere dal mondo dei vivi.

L’avvicinarsi ai temi più profondi dell’essere attraverso le azioni di tre pre-adolescenti (i “paides”, come li chiama Draconis) è dovuto al fatto che il motivo del fanciullo è l’immagine di certe cose della nostra infanzia che abbiamo dimenticato, rapresenta l’aspetto “infanzia” precosciente dell’anima collettiva e le sue “fantasie” sono le naturali manifestazioni di vita dell’inconscio(7). Non stupisce il fatto che un fanciullo riesca a cogliere la voce di un barbagianni oppure a credere alla trasformazione di un gattino in una tigre del Bengala: la sua immaginazione, priva di vincoli, è la pura espressione di un essere incontaminato. È quello che descrive Arborea quando dice: “Quando siete totalmente immersi nel mondo dei vostri giochi, intenti solo ad animare le emozioni dentro di voi, state ascoltando la voce del vostro bozzolo”.

Il palazzo dove si situa Arborea non ha spigoli. Tutto è tondeggiante e si chiude a cerchio richiamando il motivo di completezza di un mandala. La stessa regina, nel suo aspetto androgino, vuole racchiudere in sé un’immagine che va oltre la limitazione degli opposti sessi. L’androginia divina, che si trova in tanti miti e credenze, ha un valore teorico, metafisico, esprime la coesistenza dei contrari, dei principi cosmologici in seno a una divinità.(8)

Il rito della “cura”, così come delineato da Draconis alla fine del cap. 18, sintetizza nella sua immagine un lungo processo di individuazione della donna, di rimozione dei suoi mostri interiori e del raggiungimento di uno stato di consapevolezza ed equilibrio. Il moderno sciamano è stato solo un tramite, lo strumento necessario per avviare e controllare il procedere del cammino, per scoperchiare la botola della “cantina” di Paola e farne uscire le forze che vi alloggiavano.

Nell’epilogo i ragazzi vedono Helios fra le nubi e Arborea nelle sembianza di una donna nel mercato, trasformata incredibilmente nei panni di Draconis subito dopo l’angolo. Questi ultimi eventi sembrano invalidare tutto il racconto? I personaggi, i luoghi non coincidono?

Ma il mito non ha luogo, è fuori dal tempo. Nel mito non c’è “prima”, non c’è “dopo”.

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1 – Michael Conforti – Il codice innato – Ed. Magi (2005)
2 – C.G.Jung – Gli archetipi dell’inconscio collettivo – Ed. Bollati Boringhieri (1977)
3 – C.G.Jung e Kàroly Kerenyi – Prolegomeni allo studio scientifico della mitologia – Ed. Boringhieri (1972)
4 – Mircea Eliade – Trattato di storia delle religioni – Ed. Bollati Boringhieri (1999)
5 – C.G. Jung – L’uomo e i suoi simboli – Ed. TEA(1991)
6 – Giuseppe Lampis – Lettera a un amico psicologo – Quaderno di Átopon n.1/2006 – Mythos
7 – C.G. Jung e Karoly Kerenyi – Op. cit.
8 – Mircea Eliade – Op. cit.