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Libertà va cercando… nell’infosfera?

« …libertà va cercando, ch’è sì cara,
come sa chi per lei vita rifiuta. »
(
Purgatorio, canto I vv. 71-72)

La chiamano “infosfera“, come estensione del cyberspazio.

Con questo termine si usa indicare l’intero ambiente informazionale in cui gli utenti delle moderne tecnologie si trovano immersi, cioè la globalità dello spazio delle informazioni e di qualsiasi sistema in grado di interagire con esso. Si tratta dell’ambiente globale in cui si trova oggi a vivere l’uomo moderno e nel quale le future generazioni saranno sempre più coinvolte. L’evoluzione di questo sistema è stata – e continua a essere – così rapida e rivoluzionaria da sollevare in tutte le discipline che studiano l’uomo, l’antropologia in testa, l’esigenza di studiare e sviluppare i nuovi ambiti di comportamento e di significato della vita nell’era digitale.

La nuova moneta del 21-esimo secolo, preziosa quanto l’oro, è oggi rappresentata dal “dato“. Complessi algoritmi e infrastrutture di calcolo ingurgitano ogni istante enormi moli di dati per trarne preziosi profili commerciali, previsioni comportamentali e – in alcuni casi – modelli di sorveglianza e controllo. Tuttavia l’acquisizione di tali informazioni ha un costo molto elevato che si traduce nella perdita della privacy personale e della libertà individuale.

In ultima analisi, il fenomeno dei Big Data potrà certamente aiutare l’umanità; se usato nel modo giusto, consentirà di risolvere alcuni fra i maggiori problemi legati alla salute, alla povertà, alla sicurezza e alla protezione personale. Tuttavia, per avere la necessaria consistenza di dati, occorre dettagliatamente monitorare qualsiasi interazione umana, in ogni sua espressione. Le azioni su internet, le applicazioni degli smartphone, le “strisciate” delle carte di credito e le stesse riprese delle telecamere di sorveglianza fanno di ciascun individuo un libro aperto. Ogni particolare può essere noto e – in molti casi – ogni particolare “è” noto.

Si prenda ad esempio il modello di Singapore. Ciascun cittadino dispone di una smart card con un chip nella quale è racchiusa l’identità digitale dell’individuo. In base alla reputazione contenuta nel chip stesso, Stato e società stabiliscono il valore morale e professionale della persona. Oggi Singapore ci offre un esempio di quello che potrebbe essere il futuro: un “progetto umano” basato soprattutto sul successo socio-finanziario, educativo e di stato sociale, il quale ha però come prezzo quello delle libertà individuali. Lo Stato “anticipa” eventuali comportamenti illegali attraverso l’uso di complesse analisi software basate su comportamenti anomali, azioni, decisioni e movimenti dell’individuo. Il sistema riconosce addirittura l’etnia analizzando i volti e, in base alla casistica, in aeroporto alcune razze vengono fermate più spesso di altre. Decide tutto l’algoritmo.

Singapore ha attuato un modello che molti hanno in mente di emulare, ma c’è qualcosa di seriamente preoccupante in tutto ciò: un’eccessiva ed esasperata componente di controllo da parte delle istituzioni. È uno Stato spesso fortemente criticato da Amnesty International a causa di “problematici” rapporti con i diritti umani ed è anche il luogo dove un solo partito ha dominato la scena politica negli ultimi 60 anni.

La libertà è l’espressione della dignità personale, un bene che non si può comprare ad alcun prezzo. Per l’articolo 13 della nostra Costituzione «la libertà personale è inviolabile» e ogni costrizione deve essere indicata tassativamente dalla legge. Sotto il profilo morale le condizioni di una vera libertà sono rappresentate dall’adempimento dei propri doveri civili e dal rispetto dei diritti altrui.

Eppure sembrano giunti tempi in cui si rinuncia alla libertà più facilmente che in passato. Talvolta inconsapevolmente, mentre si passeggia inquadrati dalle telecamere, altre volte esprimendo la propria volontà su moduli elettronici di accettazione di servizi digitali.

Ma cosa significa, nel nostro tempo, riprendersi la libertà? Su cosa fare leva per riaffermare questo diritto? Ciò appare sempre più difficile in un’epoca in cui tutto sembra voler esonerare l’uomo da questa responsabilità, sollevarlo dal gravoso impegno di gestire la propria libertà in cambio di soluzioni rapide e pre-confezionate di una vita omologata.

Viene in mente quel meraviglioso brano di Dostoevskij denominato “La leggenda del Grande Inquisitore“, il racconto narrato da Ivan nel romanzo “I fratelli Karamazov“. L’inquisitore accusa Dio di aver lasciato gli uomini in balia di quel libero arbitrio che essi, nella loro piccolezza, non sono in grado di sostenere. Il grande tema della Leggenda è quello della libertà e del potere: il grande inquisitore si presenta come liberatore degli uomini dal peso della libertà. Sembra quasi una contraddizione: liberare dalla libertà. Ma è proprio questo ch’egli vuole fare: sollevare gli esseri umani da quella che sostiene essere la maledizione che il Cristo è venuto a portare agli uomini. Alla stragrande maggioranza di essi non si addice la vertigine della libertà, ma la servitù dello spirito. Perché, chiede l’inquisitore, sei tornato? Non hai diritto di tornare sulla Terra per impedirci di garantire agli uomini la umile, tiepida, fanciullesca felicità che essi possono permettersi una volta che rinunciano alla Tua libertà.

L’aver affidato alla tecnica il rapporto dell’uomo con il dolore e le paure, allontana l’umanità dal suo orizzonte di libertà. Il problema supremo legato a una coscienza di valori è stato frantumato in mille piccoli problemi la cui soluzione offusca completamente la visione: l’illusione di essere sempre informati (attraverso un bombardamento di false notizie), la tranquillità di essere costantemente sorvegliati e protetti dal male, la rubrica dei contatti che si mantiene integra anche al cambio del dispositivo, i nostri dati personali al sicuro in un evanescente “cloud” sono la prova della riuscita dell’esperimento di Faust, l’occasione descritta dal Grande Inquisitore!

Dopo duemila anni, sembra essere sempre attuale la favola di Fedro ( I secolo d.C.) “Il lupo e il cane“, nella sua diretta semplicità densa di significato:

Quanto sia dolce la libertà, voglio esporlo in breve.

Un lupo, sfinito dalla magrezza, s’imbatté per caso in un cane ben pasciuto. Si salutarono e si fermarono a parlare:
 
«Dimmi un po’, come fai a essere così bello lustro? Che cosa hai mangiato per avere messo su tanta carne? Io, che sono molto più forte, muoio di fame».
 
Il cane con franchezza: «Puoi essere nella mia stessa condizione se sei disposto a prestare al padrone un servizio come il mio».
 
«Quale?», chiese il lupo.
«Custodire il portone e proteggere di notte la casa dai ladri».
 
«Io sì, sono pronto: ora mi tocca sopportare neve e pioggia; dura è la vita che trascino nei boschi. Come sarebbe più facile per me vivere sotto un tetto, e saziarmi di cibo abbondante senza fare nulla!».
«Allora vieni con me».
 
Cammin facendo, il lupo scorge il collo del cane spelato dalla catena.
«Come te lo sei fatto, amico?»
 
«Non è nulla».
«Ma dimmelo, per piacere».
 
«Dato che appaio aggressivo, durante il giorno mi tengono legato, perché dorma quando c’è il sole, e stia sveglio quando è notte: mi sciolgono al crepuscolo, e allora vado in giro dove mi pare. Mi portano il pane senza che io lo deva chiedere; il padrone mi dà gli ossi della sua tavola; la servitù mi getta bocconi e le pietanze di cui non ha più voglia. Così, senza fatica, la mia pancia si riempie».
 
«Di’ un po’, se ti viene voglia di andartene a zonzo, hai la libertà di farlo?»
 
«Ma certo che no», rispose.
 
«Goditi pure, cane, le delizie che decanti: non voglio essere re, se non posso essere libero come voglio io».

 

 

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