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La creatività attinge al profondo pozzo del passato

 

Nella tetralogia “Giuseppe e i suoi fratelli“, Thomas Mann afferma: “Profondo è il pozzo del passato...”. Talvolta questo pozzo è insondabile e può apparire lontano e superato, eppure è dal suo contenuto che prendono vita tutte le nostre azioni e decisioni quotidiane. È il substrato fondamentale, la materia prima da cui attingere le connessioni fondamentali della nostra creatività.

Pozzo a pianta ottagonale nel Chiostro di Giuliano da Sangallo, Facoltà di Ingegneria, Via Eudossiana, Roma

L’immagine del pozzo usata da Thomas Mann è molto significativa. Nella simbologia, il pozzo rappresenta il luogo dove si prende contatto con il sé profondo e vi si attinge l’acqua che dà vita. L’antichità ci ricorda il ruolo socializzante del pozzo, in cui avveniva la condivisione con gli altri, investito di un’aura di sacralità. Una sorta di santuario che collega la profondità da cui nasce la vita con il cielo, datore di luce e saggezza. Nell’affacciarsi sull’orlo di un pozzo ci si sente collegati con un mondo sotterraneo evocativo della nostra parte più intima, in una matrice di sensazioni infinitamente estesa che accompagna ogni umana opera di trasformazione creativa.

Al giorno d’oggi, si parla molto di “creatività“, sebbene sarebbe più corretto definirla “interpretabilità” o “capacità di mutamento o trasformazione“. Il gesto creativo originale, l’azione suprema da cui la forma prende sostanza dal nulla, non appartiene alla sfera dell’uomo. Tuttavia la storia ci racconta di innumerevoli azioni intuitive che hanno illuminato il nostro percorso nei secoli e che – per semplicità – sono state definite “creative”, assegnando a questo termine un significato molto più ampio. In verità, ciò che si indica con “virtù creativa”, la capacità di produrre con l’intelletto e con la fantasia una o più idee originali, rappresenta invece un diverso talento: il moderno “creativo” infatti utilizza – spesso inconsapevolmente – la sua grande abilità di interpretazione di una strutturante base d’esperienza antica quanto l’umanità dalla quale – con l’ausilio di folgoranti intuizioni – “trasforma” e muta concetti e idee, adattandole ai tempi.

Il cambiamento più solido e significativo si effettua sulla base di radici storiche forti e stabilmente impiantate. Perdere questa base può significare spesso perdere qualunque riferimento di equilibrio e di direzione futura.

Questa considerazione si applica a tutte le sfere dello scibile umano, anche e soprattutto nella scienza. Nel corso dei millenni di storia che scandiscono la vita dell’uomo, esempi di questo tipo sono molto evidenti. I nostri antenati hanno imparato a conservare e trasportare il fuoco e successivamente a trasformare la sua energia per produrre calore e forza motrice. Quando l’osservazione del comportamento dei materiali nell’acqua ha sviluppato un accrescimento della base di conoscenza, sono nate le prime imbarcazioni. E così tutte le “invenzioni” realizzate nel corso della rivoluzione industriale sono evidenti risultati di questa acuta capacità di trasformazione delle arricchite risorse conoscitive. Tutta la scienza moderna e la tecnologia da essa sviluppata devono i loro traguardi al relativo “pozzo del passato”.

Così pure altri settori come il pensiero umano, la politica, le scienze sociali e l’arte esprimono in ogni loro gesto “creativo” l’elaborazione di un’esperienza radicata in un solido fondamento di conoscenze storiche e da sempre presenti nel bagaglio della nostra specie. Lo stesso Martin Heidegger affermava che per comprendere il mondo, per recuperare la nostra autenticità, dobbiamo tornare a coloro che il mondo lo pensavano prima di Socrate; alle origini cioè del nostro stupore per le meraviglie dell’essere.

Oggi assistiamo sia a un ampliamento del campo di ricerca della scienza che ad un sempre più avvicinarsi della fisica a campi umanistici che prima erano relegati solo a pensatori e filosofi, e sarebbe un errore tornare a separare queste conoscenze in ambiti isolati. La strutturante base di esperienze antiche dell’uomo rappresenta un continuum che viene incessantemente alimentato da ogni tipo di sapere e che partecipa alle successive espressioni creative con modalità analogiche e intuitive. Come può la realizzazione di una nuova tecnologia non considerare anche i suoi riflessi conseguenti sul sociale, sull’etica e sulle generazioni future? Scrive il fisico Carlo Rovelli: “Il nostro sapere è incompleto, ma è organico: cresce in continuazione e ogni parte ha influenza su ogni altra“.

È proprio questo il fondamento principale di quella “Scienza dell’Uomo” auspicata con forza dal grande antropologo Gilbert Durand: la condivisione della conoscenza che abbia come protagonista l’uomo, conscio della complessità della sua esistenza, che si interroga sul senso e la finalità della stessa, sulla sua collocazione nell’Universo, sui rapporti tra la sua breve vicenda terrena e l’infinità del tempo.

Creare una frattura rispetto a questa strutturante base su cui l’uomo poggia la sua esistenza, genera inquietudine e incertezza nonché la perdita di qualunque riferimento. L’odierna esasperazione della tecnologia è un chiaro esempio di come possa facilmente generarsi tale frattura. La tecnologia offre all’uomo l’illusione di potersi affrancare dal Dio, perché con essa egli crede di poter ottenere da sé ciò che un tempo viveva come dono del divino. Il congedo dagli dei segna l’origine del sapere tecnico, tuttavia ciò che libera è anche ciò che incatena (Prometeo). Il filosofo Marshall McLuhan scriveva che ogni nuova tecnologia (comprese la ruota, il parlato, la stampa), esercita su di noi una lusinga molto potente, tramite la quale ci ipnotizza in uno stato di “narcisistico torpore“. Se non abbiamo gli anticorpi intellettuali adatti (questo capita appena ne veniamo in contatto) siamo portati ad accettare come assiomi assoluti le assunzioni (non neutrali) intrinseche in quella tecnologia. “Se invece riusciamo a evitare di esserne fagocitati, possiamo guardare quella tecnologia dall’esterno, con distacco, e a quel punto riusciamo non solo a vedere con chiarezza i principi sottostanti e le linee di forza che esercita, ma anche i mutamenti sociali diventano per noi un libro aperto, siamo in grado di intuirli in anticipo e (in parte) di controllarli” (McLuhan, Gli strumenti del comunicare).

La creatività in realtà sgorga quando siamo legati alle nostre radici più profonde, alle strutture di conoscenza più radicate nella nostra storia (personale e di specie) che rappresentano gli strumenti più potenti per poter “innescare” il processo di sviluppo di un pensiero fecondo. Un pensiero “creativo” nasce sempre dalla trasformazione di un substrato di conoscenze di base che (talvolta inconsapevolmente) prendono parte al processo, il quale poi diventa esso stesso una base per il successivo, in un continuo trasformare.

Scrive l’etnologo Jean Servier, nella sua opera “L’Uomo e l’Invisibile“: “Le vere civiltà sono appunto quelle, antiche o moderne, occidentali o extra-occidentali, che hanno avuto come fine di conservare e trasmettere di età in età le stesse certezze nell’Invisibile derivate da uno stesso insegnamento, da una stessa tradizione. In questo consiste la loro perfezione, e solo con questo metro si può paragonare una civiltà a un’altra“.

 

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