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Pensiero analogico: il coraggio di essere creativi

 

Il codice binario, seppur necessario per grandi sviluppi tecnologici e sociali, sta annichilendo l’Homo Technologicus, soffocandone l’innata libertà di connessioni analogiche.

Rodin1Il primo uso intensivo del codice binario è stato quello dell’alfabeto Morse. Per decenni questo sistema di comunicazione ha permesso di trasmettere informazioni a grandi distanze, tra le navi nell’oceano e la terraferma, tra un continente e l’altro, e tutt’oggi il suo impiego è ancora attivo in situazioni di emergenza. Nella sua disarmante semplicità (collegare o interrompere due fili elettrici), questo sistema si è dimostrato la via più breve per trascrivere un alfabeto.

Dopodiché, l’algebra binaria (di Boole) ha rappresentato il linguaggio di comunicazione tra l’uomo e i calcolatori, consentendo la traduzione di istruzioni e comandi nei confronti delle unità di processo (microprocessori/CPU). Ciò ha determinato il Big Bang dell’era dei computer e di tutte le apparecchiature tecnologiche più raffinate.

Eppure il codice binario è il più semplice dei codici. Sì o No. Bianco o nero. Punto o linea.

Proprio questa sua semplicità ha consentito all’uomo del secolo scorso di realizzare macchine elaboratrici: era la via più semplice per istruire una serie di processi in un chip di silicio inerte, privo di intelligenza propria.

La più semplice, certo, ma anche la più elementare e la più breve da raggiungere. Eppure ha condizionato la vita dell’uomo negli ultimi 100 anni.

Se pensiamo che per raggiungere le potenzialità di calcolo e di elaborazione di oggi, stiamo impiegando lo stesso sistema di numerazione che usavano i Gumulgan australiani (una popolazione neolitica), c’è da credere che forse la strada intrapresa non rappresenti altro che un prologo e che molto ancora ci sarà da fare.

Il codice binario è una completa astrazione. La mente umana non ragiona in termini binari mentre le tecnologie da essa prodotta hanno modificato i comportamenti dell’uomo, riducendo le sue potenzialità verso un simile pensiero in modalità “aut-aut”. I più fanatici sostenitori della letteratura di fantascienza prevedono elaboratori in grado di “pensare” come il cervello umano, eppure – per il momento – ciò che ne deriva è solo l’assuefazione della nostra mente agli stessi meccanismi della macchina.

Anziché aiutare a crescere l’uomo, questo processo (che, ricordo, deriva da un codice molto elementare) sta riducendone le capacità. La natura non è binaria e laddove si incontra un bivio con due alternative, ce n’è quasi sempre una terza disponibile (come risulta dal lavoro di Stephan Lupasco e Basarab Nicolescu sulle proprietà del “Terzo Incluso”), ma questo i calcolatori non lo possono capire.

La storia della tecnica ci insegna che essa rappresenta la forma più alta di razionalità raggiunta dall’uomo, cioè: l’azione per raggiungere il massimo scopo con il minimo dei mezzi. Di questo il codice binario è un ottimo esempio, tuttavia proprio perché si tratta del “minimo dei mezzi” non deve influenzare il modello del pensiero umano in settori diversi da quello per cui è stato adottato. Anche volendo rimanere isolati nell’ambito di un ragionamento “pseudo-scientifico”, appare evidente che la soluzione binaria, nell’ottica di un continuo seppur devastante progresso tecnologico, tradisca la sua estrema elementarità concettuale e che altri orizzonti dovrebbero essere indagati per un dialogo uomo-macchina più efficace.

Tornando alla natura intrinseca del codice binario, occorre evidenziare che lo stesso fonda le sue basi sul noto concetto di “tertium non datur” risalente a una visione Aristotelica della fisica che ha governato per secoli i postulati della meccanica classica: il principio di non contraddizione.

Rodin2Eppure la fisica stessa ha da decenni ormai superato i concetti classici con le moderne teorie della meccanica quantistica, polverizzandone le fondamenta. Il realismo quantistico è fondato su idee di discontinuità, di non separabilità, di acausalità, di indeterminismo. Di fronte a una scelta che sembra imporre solo due stringenti condizioni mutuamente escludenti, esiste sempre un altro punto di vista (o livello di realtà) in cui le condizioni possono essere entrambe diversamente comprese.

È proprio in questa direzione che si stanno orientando i più recenti studi per un “computer quantistico” che utilizzi fenomeni quali la sovrapposizione degli stati (livelli di realtà) o l’entanglement, in un’ottica di superamento dei limiti attualmente imposti dalla scelta dell’elementare logica binaria.

In particolare, il fenomeno denominato “entanglement quantistico” si verifica in quei casi in cui non è possibile descrivere singolarmente lo stato di due particelle, ma solo come sovrapposizione di più sistemi: una modifica dell’uno determina istantaneamente la modifica di un valore per l’altro, a qualunque distanza esse siano poste. Due particelle entangled non rappresentano più due enti separati, ma un’unica manifestazione di una sola entità. Da qui, l’evidente parallelismo con l’esperienza psicologica della sincronicità, come rilevato da C.G. Jung e W. Pauli nel lavoro congiunto L’interpretazione della Natura e della Psiche (Naturerklarung und Psyche – Jung e Pauli 1952).

Tuttavia la mente umana dispone già di tutti gli strumenti necessari per superare la barriera del meccanismo duale dell’aut-aut. Essa è stata creata per essere in grado di consentire istantanee connessioni analogiche, intuizioni asincrone e intenso uso delle risorse immaginative attraverso la propria funzione simbolica. È importante non limitarne volontariamente le capacità creative, non soffocare l’incredibile potenziale genetico di cui dispone attraverso meccanismi che non sono propri, ma ereditati da un “affidamento” incondizionato e sempre crescente verso la tecnica.

Riconsiderare quindi il ruolo della tecnica come mezzo – e non fine – che ritrovi il suo compito di ausilio delle attività umane e lasciare che le immagini che nascono all’interno del nostro spazio intellettuale divengano simboli e metafore che ci consentano di ripensare i problemi, ridefinire le alternative, cogliere le interrelazioni tra elementi in apparenza disparati.

In altre parole, occorre ricongiungere le capacità elaborative di entrambi i nostri emisferi cerebrali in quella totalità di pensiero che ci stimola a riflettere oltre la dualità. La mente umana è in grado di elaborare una scelta con possibilità molto più ampie di quelle della semplice logica binaria: potremmo così scoprire che ciò che sembra impossibile da un punto di vista, in un ambito circoscritto, è molto spesso a nostra disposizione e percorribile attraverso una “terza” possibilità che improvvisamente si materializza come un effetto di entanglement quantistico o di sincronicità.

Alfonso Montuori (professore al California Institute of Integral Studies) scrive nel suo articolo Creativity at the Opening of the 21st Century: “Non appena sfidiamo i dualismi gerarchici e limitanti che ci impone la modernità, si aprono nuove possibilità e competenze sottovalutate da una visione meccanicistica e ripetitiva del mondo”. Il problema essenziale risiede nel fatto che l’uomo moderno affida se stesso e le proprie capacità intuitive sempre alla soluzione più facile, quella più a portata di mano, quella cioè offerta dalla tecnica che spesso seduce e annichilisce. Con questo atteggiamento, l’uomo inibisce così tutta la propria semisfera intellettiva capace di immediate connessioni analogiche e – quindi – di creatività. Dopo circa 200.000 anni di storia evolutiva, occorre oggi un atto di coraggio per poter riacquistare un dono che è sempre stato parte del nostro microcosmo: occorre – cioè – il coraggio di tornare a essere creativi.

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