Scrittura

da “Hermann e Sveva”

Così come per la discesa nel regno mitologico che prendeva il nome dalla sua stessa divinità, Hermann dovette lasciare un obolo a un improbabile Caronte, scendere una tortuosa scala di almeno dieci metri e sottoporsi al giudizio di Minosse, Eaco e Radamanto, che quella sera erano rappresentati da tre torbidi figuri sicuramente imparentati con i due dell’ingresso. Finalmente giunto nella sala, si trovò un angolo da cui poteva osservare l’intero locale. Nonostante il divieto di fumo, una bassa nebbiolina azzurrognola distesa a mezz’aria opacizzava la vista e rendeva sfocata tutta l’immagine.

La popolazione all’interno della Lanterna Rossa era facilmente enumerabile in due grandi categorie: gli “esterni”, in genere uomini con i vestiti più vari – dall’abito con cravatta al completo di pelle nera -, e gli “interni” composti dalla più fantasiosa miscela di quelle creature che Hermann aveva accuratamente osservato tra i falò lungo la strada periferica. Un languido blues sonorizzava l’ambiente con i suoi colpi di basso che spingevano verso l’alto lo stomaco e il diaframma, mentre le note di chitarra elettrica piangevano armonie in tonalità minore sui distratti avventori. Piccoli gruppi si intrattenevano attorno ai tavolini rotondi disposti nella sala o nelle poltrone laterali lungo il perimetro, alternativamente protette da piccoli tramezzi di legno.

D’un tratto l’attenzione di Hermann si fermò su una coppia abbracciata su un divano in fondo.

(Tratto da Hermann e SvevaAcquista una copia)

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