Studi IntegraliL'uomo e la scienza

Il vuoto e la forma

 

Nella perenne ricerca del senso della propria esistenza e delle leggi fondamentali che governano la natura, l’uomo si è sempre confrontato – per millenni – con il misterioso concetto di vuoto. Cos’è il vuoto? Esiste veramente in natura? Il vuoto è il non-essere, come teorizzava Parmenide?

Being_ParmenidesFino ai primi anni del secolo scorso, la tecnica non aveva ancora potuto dotare gli scienziati degli strumenti necessari per indagare nella struttura più intima della materia, perciò il concetto di vuoto è stato sempre affrontato con intuizioni e metafore che hanno portato, nel corso dei secoli, a un ampio dibattito filosofico.

Per gli antichi filosofi atomisti greci, l’esistenza del vuoto non era solo possibile ma era resa una necessità, ponendosi come principio ontologico per l’esistenza degli enti: per essi, infatti, il vuoto che permea gli atomi è quello che permette il movimento.

Quindi: il vuoto esiste.

Fu poi Aristotele a contraddire questo pensiero, introducendo la filosofia dell’horror vacui (terrore del vuoto), affermando che “la natura rifugge il vuoto” (natura abhorret a vacuo), e perciò lo riempie costantemente; ogni gas o liquido tenta costantemente di riempire ogni spazio, evitando di lasciarne porzioni vuote. Intorno al 1500 il medico-alchimista Paracelso (Philippus Aureolus Theophrastus Bombastus von Hohenheim) sosteneva che l’organismo umano fosse influenzato, oltre che dalle stelle e da altri corpi celesti, da una specie di emanazione sottile, o fluido, che pervadeva tutto l’universo. Immediatamente dopo, il primo scienziato ad affermare che in fisica non può esistere nessun luogo dove non ci sia materia – e di conseguenza che il vuoto non esiste – fu Gottfried Wilhelm von Leibniz. In seguito (intorno alla fine dell’ottocento) il fisico e ingegnere di origine croata Nikola Tesla, dichiarava di aver scoperto una fonte di energia sconosciuta e inesauribile presente ovunque nel cosmo e che poteva essere utilizzata. Il biologo Georges Lakhovsky, vissuto all’inizio del ‘900, affermava l’esistenza di un campo energetico che riempirebbe tutto l’universo presente negli spazi intermolecolari e intra-atomici dei componenti elementari della materia.

Quindi, il vuoto non esiste.

Nei primi dieci anni del ‘900 gli scienziati determinarono che l’atomo è una struttura prevalentemente vuota. Non è semplice dare una definizione delle sue dimensioni o rapporti, ma possiamo considerare che il nucleo atomico (costituito da protoni e neutroni i quali, a loro volta, sono costituiti da quark tenuti assieme da gluoni) ha una dimensione media dell’ordine di 10-15 metri, mentre gli elettroni si muovono a una più probabile distanza di circa 10-11 metri da esso. In altri termini, il 99% dello spazio occupato da un atomo fu determinato essere vuoto. Se assumessimo il nucleo di un atomo medio pari alle dimensioni di una mela, il suo elettrone più vicino dotato di maggiore probabilità si troverebbe a una distanza non inferiore a un chilometro.

Perciò, tra il nucleo e gli elettroni esisterebbe uno spazio vuoto che non può essere occupato da nulla se non da forze. Eppure è questo vuoto che costituisce le forme ed è esso stesso a creare la sostanza, proprio la “forma e sostanza” tanto discussa dagli antichi filosofi greci. Un vuoto “strutturante” che sorregge l’Universo.

Quindi, il vuoto nuovamente esiste.

Nella seconda metà del secolo scorso è stato messo a punto il modello matematico che descrive la Teoria del Campo Quantistico (QFT), una sorta di fisica quantistica della “seconda generazione” che nacque con l’intento di unificare le teorie quantistiche con quelle relativistiche e indagare nel comportamento della materia a livello sub-atomico (per intenderci, nei livelli sottostanti il nucleo e gli elettroni).

quantum_fluctuationLa visione offerta dalla QFT richiede di abbandonare la distinzione tra particelle materiali e vuoto. Esse vanno considerate come condensazioni di un campo continuo che è presente in tutto lo spazio e non possono essere viste come entità isolate. Uno dei risultati più straordinari di questa teoria è l’avere scoperto che lo spazio vuoto non è affatto vuoto: appare tale solo perché la creazione e la distruzione incessante di particelle si verifica in esso su intervalli temporali brevissimi e tali comunque da non lasciare allo sperimentatore il tempo materiale per la loro rilevazione. Il piccolissimo grado d’indeterminazione esistente tra i vari livelli di energia e tempo, provoca (per intervalli brevissimi), fluttuazioni nell’energia del sistema. Per tempi che si aggirano intorno al miliardesimo di trilionesimo di secondo un elettrone e il suo compagno di antimateria – il positrone – possono emergere improvvisamente dal nulla, congiungersi e quindi svanire. Questa è più di una semplice ipotesi; gli effetti di questi comportamenti spontanei di creazione e annullamento sono stati misurati in laboratorio in preciso accordo col Principio di Indeterminazione di Heisenberg. In questo senso, il vuoto contiene un numero illimitato di particelle che vengono generate e scompaiono in un processo senza fine.

Per Heinz Pagels della Rockefeller University, il vuoto assomiglia alla superficie dell’oceano: “Immaginate di sorvolare l’oceano con un jet. Da quel punto di osservazione ottimale, la superficie sembra perfettamente uniforme e vuota. Ma voi sapete che se foste su una barca, vedreste enormi onde tutt’attorno. Così si comporta il vuoto. Su grandi distanze – ovvero le distanze che noi sperimentiamo come esseri umani – lo spazio ci appare completamente vuoto. Ma se potessimo analizzarlo da molto vicino vedremmo tutte le particelle quantistiche entrare e uscire dal nulla “. I fisici chiamano queste particelle “fluttuazioni nel vuoto”.

In quale “vuoto” avvengono questi fenomeni? Non è possibile ottenere il vuoto in laboratorio con i normali strumenti a disposizione in quanto ciò che si otterrebbe sarebbe solo un’alta rarefazione dell’aria, la quale comunque conterrebbe miliardi di particelle. Il vuoto in cui avvengono queste fluttuazioni è proprio quello atomico presente fra il nucleo e gli elettroni che si muovono intorno ad esso. In questo spazio si vengono a creare particelle virtuali che è impossibile vedere direttamente ma i cui effetti sono misurabili sugli elettroni periferici dell’atomo stesso, come messo a punto negli esperimenti del fisico Willis Lamb.

Siamo dunque giunti, nuovamente, alla determinazione che il vuoto non esiste.

Sono trascorsi millenni in questo perenne dibattito e oggi la scienza ci offre un quadro della natura che rispecchia perfettamente quanto già percepito dalle antiche culture sapienziali nella loro visione dell’uomo nell’universo. Il Sutra del Cuore (I sec. d.C.) infatti recita:

La forma non è diversa dal vuoto,
il vuoto non è diverso dalla forma,
la forma è proprio tale vuoto,
il vuoto è proprio tale forma
.

L’uomo perciò, nel suo lungo esplorare la natura, si riscopre oggi nuovamente di fronte a un antico pensiero espresso da Parmenide intorno al 500 a.C.: esiste solo l’essere, il vuoto non esiste perché se esistesse sarebbe e quindi non potrebbe essere non essere. Perché il non essere non è, non esiste.

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